Classica figura transumante in quel mare d'erba che è la Pampa umida o nel semideserto della Pampa secca, il gaucho, antico signore di quest'infinita pianura, ha perso molte delle caratteristiche che lo definivano.
Attualmente è il "peòn", uomo di fatica che nelle "estancias", le grandi tenute della campagna argentina, si occupa soprattutto del bestiame. Così un mito si appanna.
Per capire la figura del gaucho bisogna rivivere almeno mentalmente l'antica Pampa selvaggia nell'epoca in cui arrivarono nel Rìo de la Plata i primi colonizzatori.
L'immigrazione ci porta ad un'estensione infinita la cui frontiera era solo il pericolo. D'estate un sole che nelle ore più calde bruciava perfino la voglia di muoversi; d'inverno albe con brine gelate da rabbrividire. Sparse nell'enorme spazio carogne corrose dagli animali e dal sole; sempre lontano data l'infinità dell'estensione, i suoni dei latrati dei cani selvaggi i cui capostipiti furono ivi abbandonati da qualche europeo, ed i nitriti dei cavalli indomiti che seguivano la direzione del vento, il Pampero, freddo ed impetuoso.
L'ombù, unico albero e rifugio d'ombra per il viandante, cresciuto a chilometri di distanza uno dall'altro, e qualche fiume nella Pampa umida era quanto di meglio la natura offriva a coloro che osavano violentare con i loro passi questa terra ancora vergine. Nella Pampa secca quasi una mancanza totale di tutto: arbusti spinosi e l'acqua per poco un miracolo.
Poi la siccità, le tempeste, gli incendi, gli attacchi degli indios "auraucani" e "ranqueles" padroni de queste terre fino all'arrivo dei primi bianchi. La vita era dura, severa, e più che predisporre al coraggio spingeva alla temerarietà, al disprezzo per ogni formalità ed a qualunque relazione sociale. Questo fu l'ambiente naturale del gaucho.
Meticcio, dal suo sangue indio nacque la sua sfrenata disposizione a dominare l'enorme pianura e da quello moresco l'abilità e la supremazia sul cavallo.
Di statura abbastanza alta, capelli neri e folti, sguardo intenso e felino, attento ai pericoli che potevano venire da quell'orizzonte senza fine.
Inconfondibile il suo modo di vestire, fazzoletto stretto intorno al collo, un grande panno ripiegato a forma di pantaloni ("chiripà"), cintura di cuoio ("tirador") fermata da una fibbia lavorata in argento ("rastra") che usavano i meno poveri, un "poncho", mantello di lana che lo proteggeva dal vento e dalla pioggia, stivali di pelle di zampe di cavallo levate intere, che lasciavano libere le dita per poter affermare la staffa ed un inseparabile ed affilatissimo coltello che lo accompagnava sempre e che più di un'arma era la metà di se stesso.
Di pochissime parole era capace di cavalcare per chilometri senza pronunciarne una, grande osservatore, abilissimo nel domare i cavalli e nell'uso del "lazo" con grande senso dell'orientamento si aiutava solo con il sole e con le stelle per seguire la rotta, il coraggio, la giustizia, l'amicizia, l'ospitalità erano i punti cardinali del suo essere uomo, e i suoi migliori compagni il cavallo e la chitarra. Inoltre, nessuno come lui era bravo nell'interpretazione del tempo e del destino e nella sopportazione della fatica fisica.
Costruiva la sua casa, il "rancho" con giunchi e fango, in mezzo all'erba alta, tanto nascosta che la si poteva scoprire solo quando si era vicinissimi.
Dentro: corna di bue a cui appendeva le redini del cavallo, il "lazo", cipolle, sfilze di aglio, carne, "boleadoras". A terra, in centro, un focolare circondato da pietre serviva per cucinare. Dal soffritto pendeva un'unica pentola e non mancava la "pava" (bollitore speciale per l'acqua) ed il mate (zucche piccole a forma di tazze per bere l'omonimo infuso stimolante). Il tavolo non c'era quasi mai, le sedie erano dei crani d'animali e la porta un cuoio di qualche bovino. Appeso alla parete, un crocefisso.
Le donne e i bambini dormivano su pelli di montone, gli uomini nel loro "recado" ( insieme di cinghie, copertine, basti e velli di pecora).
Mangiava carne "asada" (alla brace) spesso quasi cruda, qualche volta mais e zucca. Il suo lusso erano la cannella ed il cumino e per acquistarli a volte galoppava per molti chilometri.
Il bambino gaucho aveva un'infanzia molto limitata nel tempo. La sua culla, quando c'era, era una pelle che pendeva dal soffitto ed appena camminava a gattoni, il suo giocattolo era il coltello. A quattro anni sapeva andare a cavallo ed aiutava gli uomini nelle faccende virili: era già un gaucho.
Nella Pampa tutto sapeva di forza, la tenerezza era assente o nascosta.
Era la terra del "macho".
Artigiano tuttofare, era cacciatore, domatore, pastore, topografo, meteorologo, poeta, musicista, sellaio, veterinario, medico che curava le ferite con la sola medicina possibile, il sale, ed a modo suo, un uomo profondamente saggio.
Nell'esistenza del gaucho l'amore era schiacciato dalle violente condizioni della sua esistenza. Non era capace di dimostrarlo: dalla sua vita erano esclusi la famiglia, i figli ed in certo modo, anche la donna. Forse non è esistito mai un sistema di vita tanto poco idoneo all'amore come quello del gaucho.
L'esistenza in quell'epoca nella Pampa non richiedeva popolazioni stabili. Il gaucho andava dietro le mandrie e queste seguivano il frutto della terra, cioè l'erba.
La donna ed i figli rimanevano soli a casa per lunghissimi periodi, fino quando l'uomo tornava o si perdeva in un ritorno inconcluso.
La casa era un punto di arrivo e di partenza con un diagramma sociale spaccato dove l'uomo e la donna avevano un'esistenza separata.
Da una parte l'uomo con i suoi lavori da transumante: combattere gli indios che in onde selvagge spazzavano la Pampa o seguire al pascolo il bestiame ("arreo"). Così la donna viveva sola ed i figli nascevano e crescevano per caso. Ed il padre quando tornava li trovava già adolescenti. Questo tipo di vita faceva sì che l'uomo e la donna non condividessero nulla al di fuori del sesso.
Tutto il carattere del gaucho è traboccante di "machismo" e dal culto del coraggio dove non c'era posto per la donna.
Nato e vissuto nella Pampa non sentiva il bisogno dell'affetto casalingo e vedeva nell'amore un'ancora che legava come una disgrazia.
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Altri amori erano l'asse della sua vita: la libertà, la giustizia, l'amicizia, il coraggio, non possedendo tradizioni ed essendo individualista, senza quasi nessuna influenza della chiesa, dell'amicizia ne aveva fatto un culto che sopperiva all'amore.
Man mano che l'unità politica dell'Argentina si realizzava iniziava il periodo dell'economia del latifondo, e l'allevamento del bestiame e l'agricoltura diventano il grande affare dei nuovi ricchi. Con una legge che puniva il vagabondaggio e l'arruolamento militare obbligatorio finiva il periodo della vita libera del gaucho.
A metà dell'800 la rete metallica che delimitava le proprietà private delle campagne ("alambrado") cambiava la tipologia del panorama "pampeano".
L'Argentina attraversava una fase di profonda trasformazione e così il gaucho.
Oggi, senza più una sua identità presta servizio come "peòn", presso i grandi "estancieros" (padroni dei latifondi). Non è più transumante, la maggior parte ha una famiglia, ma il suo lavoro è sempre quello di pascolare le mandrie, mancare il bestiame, domare i cavalli, controllare le recinzioni, in somma, vivere nella libertà della campagna in sella ad un cavallo.
Permangono ancora in lui molte antiche abitudini: mangiare l'asado, sorseggiare il mate in compagnia, suonare la chitarra e cantare le sue musiche, quasi sempre tristi come la Pampa al tramonto.
Dei suoi tratti caratteriali ne sono rimasti molti come l'odio per la vigliaccheria e la meschinità, il coraggio, la generosità, il senso della giustizia, dell'ospitalità, dell'amicizia.
L'impronta del gaucho ancor oggi segna molti destini in tutta l'Argentina anche nei luoghi più remoti, perché l'antico orgoglio c'è ancora ed è rispettato. Tanto è vero che anche l'estanciero si considera gaucho attraverso i valori semplici degli antichi abitanti della Pampa.
Di questa terra si può dire che la sua più grande generosità non è stata la ricchezza che ha saputo regalare a tante generazioni di argentini, ma l'aver generato quella personalità: il gaucho.
Se ad un argentino chiedi: mi può fare una "gauchada"? significa;: mi può fare un favore? Ecco, in una parola, la personalità del gaucho.
Le otto regioni "gauchas" dell'Argentina
1) Regione della Pianura: comprende le province di Buenos Aires, Santa Fè, Còrdoba, San Luis e Ovest della Pampa. E' stata la culla del gaucho. Vegetazione: pascoli e ombù.
Abbigliamento: camicia o gilé, "bombachas", fazzoletto bianco rosso o nero al collo, "poncho" di un colore o a righe, capello nero.
2) Regione del Litoral: province di Entre Rìos, Corrientes, Misiones e zona Est di Santa Fé. Area dove iniziano le foreste. Fauna: puma, tapiro
Abbigliamento di colori chiari, stivali marroni, "bombacha" larga, pantofole con suole di corda, "poncho" rosso. Nella provincia di Misiones il suo abbigliamento è bianco nell'area guarnì.
3) Regione del Chaco: province di Formosa, Chaco, nordest di Santiago del Estero e Nord di Santa Fé. Con molte zone coperte di boschi e di spazi inondati.
Abbigliamento molto simile a quello della regione precedente
4) Regione del Centro - Nord: province di Còrdoba a nord delle sierras e di Santiago del Estero. Il gaucho ha una cadenza speciale quando parla.
Abbigliamento somigliante a quello delle regioni precedenti.
5) Regioni del Nordovest: province di Jujuy, Salta, Tucumàn, Catamarca e ovest di Formosa. Zona montuosa con spazi coperti di foreste.
Abbigliamento usa anche il "coleto" (giaccone) che usa per lavorare, "poncho" rosso con righe nere.
6) Regione di Cuyo: province di La Rioja, San Juan, Mendoza e nordovest di San Luis: pianure e montagne innevate. Fauna: tra altri, il condor. Coltivazioni di viti.
Abbigliamento: a seconda della zona usa il "coleto"
7) Patagonia: province di Neuquèn, Rìo Negro, Chubut, Santa Cruz, Tierra del Fuego, sud di Mendoza e ovest della Pampa.
Abbigliamento a seconda del clima quello di tutte le regioni argentine più maglioni pesanti (a volte due), mantello di guanaco, boina invece del cappello, "poncho" con bottoni.
8) Zona di Liniers: gaucho degli stabilimenti della città di Buenos Aires.
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Mirta Panfido
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