La passione per la Patagonia e la Terra del Fuoco nacque in me circa 20 anni fa quando, per caso, mi immersi nelle storie avvincenti di Francisco Coloane (1),
scrittore cileno, che trascorse gran parte della sua lunga ed avventurosa esistenza girovagando nelle più remote regioni meridionali del continente americano.
Coloane ha trasferito nei libri le sue più disparate esperienze: fu pastore e caposquadra nelle haciendas della Terra del Fuoco, partecipò alle ricerche petrolifere
nello Stretto di Magellano, visse insieme ai cacciatori di foche e navigò per anni a bordo di una baleniera prima di iniziare l’attività di scrittore.
Dalle storie di Coloane passai a quelle di Luis Sepúlveda (2) , altro scrittore cileno, molto conosciuto anche in Italia. La mia libreria si arricchì di altri volumi
sempre sullo stesso argomento, non potevano mancare “In Patagonia” di Bruce Chatwin, i “Diari della motocicletta” del giovane Che Guevara e “L’uomo dalla voce tonante” di Stefano Malatesta, solo per citarne alcuni.
Leggevo qualsiasi cosa trovassi e più mi immergevo con la fantasia in queste terre lontane più avevo l’impressione di condividere con gli autori
la vastità degli spazi, la solitudine, il silenzio, i tramonti dai colori intensi e saturi su montagne e lande desolate, fustigate dal vento possente ma allo stesso
tempo ricche di fascino e di mistero.
La Patagonia è la parte più meridionale del Sud America, si estende verso Sud dal Rio Colorado e copre 800.000 kmq in Argentina ed in Cile.
Si narra che il termine Patagonia fu assegnato da Magellano nel 1520, come riportato nei diari di bordo dal suo cronista Antonio Pigafetta, agli
abitanti della Fin del Mundo quando, di fronte a “uno uomo de statura de gigante”, un indio tehuelche, per i grandi mocassini che vestiva, il comandante esclamò:
“Ah! Patagon!”.
Un’altra storia racconta che tale nome le fu dato sempre da Magellano in relazione al mostro chiamato il Gran Patagon con “la testa di un cane” presente in un romanzo
cavalleresco, molto amato dal grande navigatore (3).
È una terra dai grandi contrasti che ospita uno dei deserti più estesi del mondo ed allo stesso tempo custodisce miliardi di litri di acqua dolce
racchiusi negli immensi ghiacciai.
L’estate scorsa decido che è giunto il momento di partire per andare a conoscere di persona questa terra dalle condizioni estreme alle quali sopravvivono solo i duri, così magnificavano le mie letture.
Dopo numerose ricerche, per lo più insoddisfacenti, entro in contatto con Rima Siman, la Responsabile del portale “Argentina on Line” che mi propone di realizzare un itinerario che rispetti i miei desideri e le tappe che non voglio assolutamente mancare. Mi rendo subito conto che Rima, argentina, conosce il suo Paese nei minimi dettagli.
So per certo che per vedere e vivere la Patagonia è necessario percorrerla in bus o in macchina e, visto che viaggio da sola, opto per il pullman.
In Argentina il trasporto sulle quattro ruote è molto diffuso ed ha quasi completamente sostituito il treno. Il servizio su strada è ben organizzato ed i pullman “cama” (letto) sono confortevoli, molto comodi ed efficienti.
Atterrata all’aeroporto Ezeiza di Buenos Aires dopo poche ore prendo il volo che mi porterà a Trelew, nella Penisola Valdes, per l’appuntamento con le balene franche australi. La penisola è considerata una delle più importanti riserve naturali di fauna marina, inserita nella lista dei siti protetti dall’UNESCO, è un luogo fortunato per l’avvistamento della balena franca australe, i pinguini di Magellano, orche, delfini, otarie, leoni marini.
Siamo agli inizi di novembre ed il periodo è perfetto per avvistare i grandi cetacei che, da luglio ai primi di dicembre, soggiornano in queste acque calde, riparate e tranquille per mettere al mondo i loro piccoli (si fa per dire), e poterli svezzare prima di riprendere il largo e dirigersi verso i gelidi mari antartici.
Con un taxi collettivo da Trelew giungo a Puerto Madryn e percorrendo il lungomare, cioè il lungo-oceano, l’autista mi indica gli sbuffi delle balene che si vedono poco lontano dalla riva. È uno spettacolo emozionante, sembra che l’acqua sia popolata da innumerevoli piccoli geyser che ribollono a intervalli costanti e regolari. Per gli abitanti del luogo i pacifici pachidermi acquatici sono ormai un appuntamento immancabile del perpetuo succedersi delle stagioni, come per noi la partenza e l’arrivo delle rondini scandiscono l’avvicendarsi di autunni e primavere.
Dopo aver lasciato i bagagli in ostello vado a mangiare in un bistrot sulla spiaggia di fronte alle balene. Sono davvero numerose ed è singolare vedere come gli appassionati di windsurf zigzaghino con grande abilità ed in tutta tranquillità tra questi imponenti cetacei.
Con un taxi collettivo da Trelew giungo a Puerto Madryn e percorrendo il lungomare, cioè il lungo-oceano, l’autista mi indica gli sbuffi delle balene che si vedono poco lontano dalla riva. È uno spettacolo emozionante, sembra che l’acqua sia popolata da innumerevoli piccoli geyser che ribollono a intervalli costanti e regolari. Per gli abitanti del luogo i pacifici pachidermi acquatici sono ormai un appuntamento immancabile del perpetuo succedersi delle stagioni, come per noi la partenza e l’arrivo delle rondini scandiscono l’avvicendarsi di autunni e primavere.
Passeggiando sul molo che si protende nell’oceano osservo a pochi metri le madri con i balenotteri che si avvicinano alla banchina con fare curioso.
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(1) “La scia della balena” di Francisco Coloane Ed. Guanda 1999; “Capo Horn” di Francisco Coloane Ed. Guanda 1997; “L’ultimo mozzo della Baquedano” di Francisco Coloane Ed Guanda 2000; “Terra del Fuoco “ di Francisco Coloane Ed. Guanda 1996; “Una vita alla fine del mondo” di Francisco Coloane Ed Guanda 2001;
(2) “Il mondo alla fine del mondo” di Luis Sepulveda Ed. Guanda 1994; “Patagonia Express – Appunti dal Sud del Mondo” di Luis Sepulveda Ediz. Feltrinelli Traveller 1996; “Ultime notizie dal Sud” di Luis Sepulveda Ed. Guanda 2011;
(3) vedi “In Patagonia” di Bruce Chatwin ed. Adelphi pagg.127 -130; “Le vie del Mondo - Terra del Fuoco ed. Touring Club Italiano 2002 ‘La Scoperta’ di Antonio Pigafetta pagg. 9-16; “Desde adentro – Las comunidades originarias de la Argentina” de María Eugenia Martins – Fundación de Historia Natural – Miradas de la Argentina;
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È la prima tappa del viaggio e già mi sento ripagata del lungo volo dall’Italia, la stanchezza si è completamente dissolta.
Il giorno dopo, puntualmente alle 9, passa a prendermi in ostello Maximo, l’autista che accompagnerà me e due signore spagnole, Mercedes e Ana, a Punta Piramydes per l’escursione che prevede l’avvistamento delle balene dalla barca. Maximo, di grossa corporatura e con lineamenti indios è simpatico e disponibile ed anche Mercedes ed Ana si riveleranno delle divertenti compagne di viaggio.
Sul bordo della strada vedo un piccolo santuario circondato da bandiere rosse ed offerte votive, chiedo a Maximo cosa sia e l’autista ci spiega che sono altarini dedicati ad Antonio Mamerto Gil Núñez, più conosciuto affettuosamente dagli argentini come Gauchito Gil. Il nostro autista inizia così a narrarci la storia rocambolesca di questo eroe leggendario del 1800.
Nato in Argentina, a Pay Ubre, vicino a Mercedes, nella provincia di Corrientes, intorno al 1840 e morto l'8 gennaio del 1878, el Gauchito fu considerato un valoroso paladino come Robin Hood. Ancora oggi, ogni anno l’8 gennaio la sua tomba, che si trova a 9km da Mercedes, richiama migliaia di pellegrini ed è oggetto di grandi celebrazioni.
Sono pervenute poche notizie biografiche certe sul suo conto, il suo ricordo è stato avvolto da una nube di storie leggendarie che ne hanno fatto addirittura una figura religiosa, oggetto di devozione popolare in tutta l’Argentina.
Esistono diverse versioni della sua vita, questa è una di quelle più raccontate.
Gil si arruolò nell’esercito per sfuggire alle ire di un poliziotto locale la cui fidanzata si era innamorata di lui, andò a combattere nella guerra del Paraguay. Disertò e fu perseguito. Condusse una vita da fuggitivo rubando ai ricchi per devolvere ai poveri; inseguito perennemente dalle forze dell’ordine fu catturato e condannato a morte come disertore. Al momento dell’esecuzione el Gauchito si rivolse al boia: ”Stai uccidendo un uomo innocente – gli disse -quando riceverai il documento che attesta la mia innocenza verrai a sapere che tuo figlio è in punto di morte per una grave malattia, ma se seppellirai il mio corpo, tuo figlio si salverà.” La sepoltura era un trattamento di solito negato ai disertori. Il boia uccise Gil e riportò la sua testa nella città di Goya dove nel frattempo avevano concesso la grazia al condannato. Il soldato allora, memore delle parole del Gauchito, fece ritorno sul luogo dell’esecuzione e seppellì il corpo di Gil. In breve tempo il figlio del boia guarì e la voce del miracolo si diffuse rapidamente in tutto il territorio, dando origine alla leggenda.
Sul luogo della sepoltura di Gauchito Gil sono state erette numerose cappelle contenenti migliaia di offerte votive.
Le interminabili rutas (strade) dell’Argentina sono disseminate di piccoli tabernacoli circondati da bandiere rosse dove la gente di passaggio lascia T-shirt, biciclette, coltelli, fotografie, sigarette ed anche abiti da sposa in segno di devozione nei confronti del gaucho. Gli autisti dei camion e dei pullman, quando sfrecciano davanti a questi tempietti perduti nelle vaste solitudini della pampa, salutano il Gauchito con un colpo di clacson o con un gesto della mano.
Passeggiando per Punta Tombo, in mezzo ad un milione e mezzo di simpatici pinguini di Magellano, mi sento felice perché ammiro con gioia come i buffi palmipedi siano rispettati dall’uomo e si muovano in completa libertà, tranquillità e sicurezza. Qui i padroni sono loro. È singolare vedere come la gente si fermi quando vede un “signore in frac” in procinto di attraversare il sentiero dedicato ai visitatori ed attenda con pazienza che il palmipede passi indisturbato. Numerosi cartelli disseminati nel parco invitano caldamente a fermarsi di fronte ai graditi ospiti.
È un’esperienza che mi riempie il cuore di gioia, e la baia è incantevole.
Arrivo verso le 20 al terminal dei pullman di Puerto Madryn, sono in anticipo per il bus che dopo una notte di viaggio mi porterà ad Esquel ai piedi della Cordigliera. Incontro Rosana di Barcellona, mia compagna di stanza in ostello, anche lei in attesa del bus per Rio Gallegos. Prendiamo insieme un caffè-latte al bar della stazione e dopo esserci scambiate gli auguri di rito ci salutiamo affettuosamente.
Il giorno dopo mi sveglio all’alba, l’ambiente caldo del bus è confortevole ed avvolgente. Fuori, la terra è bagnata, chiazzata di pozzanghere e poco lontano ecco stagliarsi le cime innevate delle Ande. Il panorama prettamente invernale trasmette una sensazione di freddo anche se siamo già in primavera inoltrata.
Ho deciso di venire in questa cittadina nel cuore della Patagonia per incontrare la comunità Mapuche che sta portando avanti da anni lotte nei confronti dei grandi latifondisti esteri e delle multinazionali straniere che stanno mettendo in atto una nuova colonizzazione in Patagonia. L’attività degli stranieri prevede non solo la messa in opera di miniere per estrarre i preziosi minerali di cui è ricca questa terra con pesanti ripercussioni per l’ambiente e la popolazione, ma anche l’accaparramento delle terre ancestrali dei popoli nativi.
Trascorro quattro giorni in compagnia della comunità mapuche che mi accoglie con grande calore e affetto. Sono contenti che qualcuno da così lontano sia venuto ad interessarsi alle loro lotte.
Tra incontri e conferenze, riesco a ritagliarmi una mezza giornata per un’escursione al “Parque de Los Alerces” una foresta ricca di ruscelli gorgoglianti, verdi montagne e specchi di acqua limpida, scenari andini tra i più incontaminati.
La principale attrattiva del parco è l’alerce, una delle specie vegetali più longeve del pianeta, simile alla gigantesca sequoia della California. Sono presenti esemplari vecchi di 4.000 anni!
Nel gruppo di escursionisti, c’è anche una simpatica coppia di ottuagenari di Buenos Aires. Il marito preferisce attenderci in auto mentre la moglie, Giovanna, un’arzilla signora di 82 anni, si aggrega con entusiasmo mentre ci immergiamo nella fitta foresta al seguito della nostra guida Alicia, una donna attraente e sportiva. Alicia strada facendo tiene una piccola lezione di botanica per spiegarci le curiosità della foresta.
Lascio Esquel con una certa malinconia, ma sono felice perché penso di aver trovato amici sinceri.
Sono di nuovo in pullman per raggiungere Los Antiguos, cittadina famosa per le ciliegie, situata sulle sponde ventose del lago Buenos Aires, mi sto spingendo sempre più a Sud.
Il viaggio è lungo ma affascinante. Resto stregata dal paesaggio che con dolcezza si trasforma davanti ai miei occhi, la Cordigliera continua ad accompagnarmi con le sue curve sinuose che si allungano sulla destra mentre sul lato opposto il contesto ambientale è estremo e nelle vaste estensioni della pampa la presenza dell’uomo risulta pressoché inesistente. Solo di tanto in tanto guanachi liberi corrono nella pianura arsa mentre i colori della terra e del cielo, con lo scorrere delle ore, mutano in infinite gradazioni dal giallo ocra, all’arancione, al violetto.
Procedendo sulla Ruta 40 rivivo continuamente dei deja vu, probabilmente ho introiettato talmente le mie letture che i panorami ormai fanno parte del mio vissuto, prima in modo fantastico, ora personaggi reali e concreti della realtà che mi circonda.
Il pullman a poco a poco si trasforma in un piccolo microcosmo, quasi un villaggio, dove le conversazioni multilingue con i compagni di viaggio nascono in modo naturale e spontaneo.
Nel tardo pomeriggio durante una sosta per rifornimento nei pressi di Gobernador Costa, nel bel mezzo del nulla, Fernando, un ragazzo spagnolo della Galizia,
riesce a collegarsi con il suo smartphone tramite il wi-fi della stazione di servizio ed, in diretta, mi comunica la notizia dei terribili attentati di Parigi.
E il 13 novembre 2015. Sul bus siamo solo tre europei, Fernando, la sua compagna Carmen ed io.
Quando riprendiamo il viaggio siamo tutti e tre sconvolti da ciò
che abbiamo appena appreso e così, per farci coraggio, iniziamo a raccontarci le nostre esperienze, un modo per mettere da parte il dispiacere e la tristezza.
I due ragazzi raccontano che sono entrambi dentisti e che si sono conosciuti all’università di Madrid, si inserisce nella conversazione anche Marina, una ragazza
argentina che sta andando a El Chalten per lavorare come guida. La ritroverò infatti due giorni dopo con un gruppo durante la visita alla Cueva de las Manos.
Giunta a Los Antiguos alloggio in un bellissimo albergo sul lago, l’hosteria Antigua Patagonia, l’unica disponibilità che ho trovato grazie all’aiuto di Rima.
Durante la giornata mi aggiro per la cittadina, inerpicandomi sulle colline circostanti per ammirare il panorama del lago. La sera seguo alla televisione un interessante documentario sulla Isla de Los Estados, un’isola che si trova a 40 km a est della Terra del Fuoco, abitata da lupi marini e pinguini reali. Il Faro di San Juan de Salvamento ispirò Jules Verne per la stesura del suo romanzo ‘Il faro alla fine del mondo’, pubblicato nel 1905.
Il giorno dopo a colazione conosco una coppia di americani dell’Alabama, Tom e Betsi, miei compagni di viaggio nell’escursione alla Cueva de Las Manos. Il nostro autista e guida si chiama Claudio. Percorriamo prima la Ruta 43 e poi ci immettiamo sulla mitica Ruta 40, dopo circa 180 km sostiamo in un punto panoramico da cui Claudio ci indica la Cueva de las Manos sulla parete opposta di una gola profonda che si apre di fronte a noi. Decidiamo di raggiungere con un trekking il sito ricco di pitture rupestri, dichiarato dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità. I dipinti policromi su roccia risalenti a migliaia di anni prima di Cristo ricoprono ogni angolo delle pareti della grotta con circa 800 immagini e raffigurano impronte di mani quasi tutte della mano sinistra.
Il mio viaggio continua e, dopo una sosta di due giorni a El Chalten, dal nome tehuelche del Cerro Fitz Roy, che significa ‘vetta di fuoco’ nel Parque Nacional Los Glaciares, arrivo a El Calafate per ammirare una delle meraviglie del mondo: il ghiacciaio Perito Moreno. Il nome El Calafate prende il nome dalla bacca che una volta mangiata garantisce il ritorno in Patagonia, un po’ come la tradizionale monetina lanciata nella Fontana di Trevi a Roma.
Il Perito Moreno, uno dei siti emblematici dell’Argentina, è un fronte azzurro alto più di 60 metri e largo circa cinque chilometri. Un insieme di blocchi, crepacci e pinnacoli che si estende a perdita d’occhio, circa 60 chilometri quadrati di ghiaccio, un’enorme riserva di acqua dolce, apparentemente immobile. In realtà il ghiacciaio si sposta continuamente lo testimoniano gli improvvisi boati provocati dalla caduta di grossi frammenti di parete nelle acque gelide del Lago Argentino.
Ed eccomi a passeggio sulla Avenida San Martin nel centro di Ushuaia, la città alla “Fin del Mundo”. Sono arrivata proprio là dove volevo arrivare da tanto tempo.
Camminando sulla strada principale mi imbatto in un gruppo di operai che stanno manifestando di fronte alla Casa del Gobierno, si lamentano di una legge appena
varata dal parlamento. Anche alla Fine del Mondo sono presenti gli stessi nostri problemi. Mi fermo a mangiare in un pub completamente arredato di legno, molto
accogliente, il cui soffitto è ricoperto da bandiere multicolori. Ordino un ‘guiso de lenteja’ gustoso e saporito. Trascorro alcuni giorni in questa terra, ho proprio la sensazione di trovarmi alle estreme propaggini del mondo. Mi rendo conto che ormai gran parte del viaggio è trascorsa, ma mi consolo pensando a Buenos Aires, la grande metropoli dai quartieri colorati, dalle zone residenziali e le favelas povere e malfamate dove il giorno e la notte non hanno confini, la patria del tango e del ‘bandoneón’. Questa, però, sarà un’altra storia.
“Sulle strade dell’ultima frontiera del Mondo: la Patagonia e la Terra del Fuoco
di Patrizia Larese
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